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“JANE PAR CHARLOTTE” BY CHARLOTTE GAINSBOURG

Article by Lisa Cortopassi

Translated by Federica Maria Briglia

«Filming you with the camera is just an excuse to watch you», says Gainsbourg Birkin, with a sweet and quiet tone, during one of the first scenes of Jane Par Charlotte. The movie premiered at the 74th edition of Cannes Film Festival and was proposed again at the TFF39 in the “Surprise” section. It immediately crosses the cold boundaries of the biographic documentary, taking the form of an intimate and very lively conversation between mother and daughter. There lies the hiatus between these two identities which, like the hiatus between biography and autobiography, becomes more and more ephemeral, until it involves also Joe, Charlotte’s youngest daughter.

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“RIEN À FOUTRE” DI JULIE LECOUSTRE ED EMMANUEL MARRE

Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre presentano fuori concorso il loro primo lungometraggio, una storia che si muove lungo un doppio binario: la rappresentazione quasi documentaristica degli assistenti di volo di compagnie low-cost e l’analisi introspettiva della protagonista, che non riesce a elaborare un lutto.  

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“JANE PAR CHARLOTTE” DI CHARLOTTE GAINSBOURG

«Riprenderti con la videocamera è solo una scusa per guardarti», dice Gainsbourg a Birkin, con quel suo tono dolce e pacato, in una delle prime scene di Jane Par Charlotte, film presentato in anteprima alla 74ª edizione del Festival di Cannes – e riproposto al TFF39 nella sezione Surprise. Il film oltrepassa subito i freddi confini del documentario biografico assumendo la forma di una conversazione intima e sensibilmente viva tra madre e figlia, dove lo iato tra queste due identità (così come quello tra biografia e autobiografia) si fa sempre più labile, fino a coinvolgere anche Joe, la figlia più piccola di Charlotte.

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“TROMPERIE” DI ARNAUD DESPLECHIN

«Il luogo in cui non si mente», per Emmanuel Carrère, è la letteratura (Yoga, Adelphi, 2021). Desplechin non adatta il più influente scrittore francese contemporaneo, bensì traspone uno dei più importanti autori americani recentemente scomparso, Philip Roth. Se Carrère parte dalla propria vita e inventa per farne trasparire il senso, Roth-Desplechin fanno esattamente l’opposto: usano la finzione per raggiungere l’autenticità dei sentimenti dei personaggi, riproponendo così l’annosa questione sullo statuto della relazione tra arte e vita.

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